È vero che le due discipline sono molto simili ma come si è cercato di delineare presentano alcune differenze e pertanto occorre provare a tracciare dei confini stabili considerato che per altro le STA devono essere iscritte all’albo forense mentre le STP presso l’albo “relativo all’attività individuata come prevalente nello statuto o nell’atto costitutivo” (art. 8 D.M. 34/2013).

Come affermato da recente giurisprudenza (Sez. Un. 19282/2018) la scelta non è nella disponibilità perché la legge speciale e posteriore delle STA prevale su quella generale e precedente delle STP. Ciò significa che ove il costituendo ente sia formato per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto da soci avvocati iscritti all’albo e professionisti iscritti presso albi di altre professioni e il suo organo di gestione sia composto in maggioranza da avvocati, le parti dovranno optare per la STA.

Probabilmente il parametro che offre maggiore certezza è dato dai componenti dell’organo gestorio, il quale se formato da una maggioranza di avvocati determinerebbe la scelta del modello STA e la conseguente applicazione delle regole di cui all’art. 4 bis l. 247/2012.

Il criterio di scelta tra STP e STA dunque sembra essere meramente formale e addirittura sganciato dall’oggetto sociale: probabilmente ci si potrebbe trovare in una STA che rispetti i criteri formali indicati ma che svolga un’attività di sola consulenza economica fiscale ovvero non forense.

Probabilmente dunque così si risolverebbero, ancorché in maniera paradossale, i problemi di identificazione dell’oggetto sociale prevalente posti in dottrina (Busani).

Sarebbe necessario individuare l’attività prevalente pertanto solo per le STP ai sensi dell’art. 8 D.M. 34/2013.

La prevalenza dell’attività professionale potrebbe definirsi in forza di innumerevoli parametri (Busani): per teste, per partecipazione agli utili, per numero di incarichi professionali svolti, per partecipazione al capitale sociale, per fatturato derivante dall’attività professionale svolta dal singolo socio.

Alcuni di questi parametri non offrono certezza in sede di costituzione in quanto verificabili solo durante la vita della società (si pensi per esempio al criterio del fatturato).

Una possibile soluzione potrebbe consistere nel dividere il capitale sociale in parti uguali, senza incidere sulla ripartizione proporzionale di utili e perdite e verificare così l’attività che in prevalenza svolgerà la società in base alla professione svolta dai singoli soci.

Così si potrebbe determinare in maniera chiara l’oggetto sociale e quelle che saranno solo attività accessorie, oggetto sociale che peraltro sarebbe elemento tipizzante (Cagnasso). Resterebbe però il problema di come disciplinare la maggior remunerazione per quei soci che concretamente presteranno con più frequenza la propria opera professionale a beneficio dell’intera società.

Si ricorda poi che in caso di discrasia tra oggetto sociale documentalmente definito e attività concretamente svolta, la società assume l’incarico mediante gli amministratori i quali se ci si trova in una società di capitali hanno la responsabilità generale della società: ciò significa che rispetto ai terzi restano ferme le regole sulla responsabilità sopra esposte; poi se gli incarichi non ineriscono l’oggetto sociale definito si profilerà un problema di responsabilità degli amministratori nei rapporti interni con i soci.

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