La dizione “neuroscienze forensi” è di per se’ esplicativa della doppia anima che contiene: giuridica e scientifica, elementi che insieme si fondano per dar vita ad un unicum che, senza trascurare le singolari peculiarità di ognuna, è identificabile in qualcosa di nuovo, in grado di andare oltre la singola visione sia essa scientifica che giuridica.

L’utilizzo delle nozioni e delle tecniche impiegate nel variegato panorama neuroscientifico ha sollevato l’attenzione del mondo giuridico e scientifico su alcune questioni fondamentali tra cui, in primis, la possibile influenza esercitata dal patrimonio genetico e dalle connessioni neurali nella genesi di comportamenti penalmente rilevanti.

Da ciò nasce l’esigenza di una revisione del concetto del libero arbitrio. Alcuni esperimenti riportati in letteratura propongono addirittura la sostituzione del libero arbitrio con il libero veto: il soggetto sarebbe, secondo alcuni autori, in grado di scegliere solamente tra opzioni già disponibili cerebralmente, e in questo senso non sarebbe quindi completamente libero, bensì vincolato in modo inconscio. La veridicità di tale ipotesi sconvolgerebbe istituti penalmente rilevanti quali l’imputabilità, la responsabilità e la condanna. Se la nostra volontà infatti risultasse legata in modo preponderante all’assetto genetico e a processi chimici a livello cerebrale, non direttamente controllabili dallo stesso individuo, saremmo tutti potenzialmente non colpevoli. Si potrebbero quindi associare indissolubilmente la chimica e la genetica al vizio di mente ed il reo diventerebbe un malato per definizione. Rimarrebbe dunque solo l’istituto della pericolosità sociale, penalmente rilevante, accertabile magari attraverso ulteriori indagini di tipo clinico.

Diversamente la Scuola Positiva di diritto penale, discendente dalle teorie lombrosiane sulla criminalità vede il delinquente come un soggetto affetto da atavismo primitivo, non in grado di cambiare volontariamente questa condizione, dunque sempre portato a commettere reati; in questo contesto non avrebbe dunque senso sottoporlo alla pena detentiva perché egli non può che essere ciò che è, e la società potrebbe solo difendersi dal criminale utilizzando misure che ne limitino la pericolosità con il ricorso alle misure di sicurezza.

Il presente elaborato ha l’obiettivo di descrivere i principali ambiti applicativi di queste discipline ai fini forensi, spiegando come non sia ipotizzabile un ritorno a filosofie, quali il Determinismo ed il Lombrosismo, ormai desuete ed ampiamente delegittimate dalla ricerca scientifica. Ed è proprio l’utilizzo del principio del libero arbitrio, visto come mera illusione dalle anzidette correnti di pensiero, che consente il ricorso alle neuroscienze nel processo penale.

Il diritto vede l’uomo come un agente razionale, in grado di scegliere autonomamente sulla base delle proprie credenze, desideri e intenzioni (Bianchi et al, 2009) basandosi dunque sull’esistenza della possibilità per l’individuo di scegliere come agire ed autodeterminarsi nelle diverse situazioni.

Se ciò viene a mancare si deve necessariamente procedere al riconoscimento dell’incapacità di intendere e volere, totale o parziale. Le neuroscienze possono offrire in questo contesto un importante contributo conoscitivo, permettendo una miglior applicazione del diritto penale al caso concreto.

Si è scelto di suddividere la trattazione in otto capitoli.

Nel primo capitolo vengono definite concettualmente le neuroscienze e le metodologie di indagine da esse adottate con particolare attenzione alle tecniche di neuroimaging cerebrale, che consentono di ottenere delle immagini in vivo dell’attività cerebrale. Viene inoltre affrontato il tema della neuroetica che, come sostenuto da Boella (2008) , rappresenta lo studio delle questioni etiche, sociali, legali e politiche che originano nel momento in cui le scoperte scientifiche sul cervello entrano nella pratica medica, nelle interpretazioni della legge e nella politica sociale.

Il secondo capitolo affronta la tematica delle neuroscienze in ambito forense, mettendo in luce come l’emersione di nuove scoperte scientifiche e lo sviluppo di nuove tecnologie abbiano condotto ad un ripensamento del tema della prova scientifica nel processo penale in una prospettiva interdisciplinare, e illustrando come l’avanzamento delle neuroscienze stia modificando il modo in cui concepiamo mente, comportamento e natura umana.

Il terzo capitolo è dedicato alla neuropsicologia forense, attualmente utilizzata come valido sostegno alle perizie psichiatriche.

Il quarto capitolo si concentra sul nodo problematico della genetica del comportamento che introduce il concetto di vulnerabilità genetica. La genetica comportamentale ha posto molti dubbi in relazione alla natura del libero arbitrio, riprendendo problematiche risalenti al pensiero classico. La nozione comune del libero arbitrio si basa sul dualismo cartesiano: res extensa, cioè il corpo, macchina studiabile secondo i principi della fisica e res cogitans, ovvero la mente, indipendente e sottostante a leggi differenti. Se le neuroscienze riuscissero a superare questa concezione unendo anima e corpo in un unico io, il libero arbitrio diventerebbe un semplice processo chimico determinato da leggi scientifiche.

Il quinto capitolo descrive il contributo apportato dall’introduzione della prova neuroscientifica alla valutazione di istituiti come capacità di intendere e volere e pericolosità sociale.

Il sesto capitolo espone alcuni casi giudiziari in cui le neuroscienze forensi sono state protagoniste. Il settimo capitolo definisce la questione della compatibilità del progresso scientifico con il sistema giuridico con particolare attenzione al concetto del libero arbitrio.

L’ottavo capitolo raccoglie le conclusioni dell’elaborato.

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