Il Neurodiritto” rappresenta un settore emergente di studio interdisciplinare che analizza gli effetti delle scoperte nel campo delle neuroscienze sulle norme giuridiche e le categorie del diritto. Il termine deriva dalla congiunzione del prefisso “neuro” con la parola “diritto”. Senza pretesa di completezza il suffisso “neuro” ha trovato già da tempo applicazione in campo filosofico, etico, estetico, economico, artistico e musicale.

Discorso diverso vale per la parola “neuroscienze”, ormai in voga da quasi quarant’anni, la quale denota un complesso molto esteso di discipline (anatomia, biologia molecolare, biochimica, fisiologia, farmacologia, genetica, immunologia,…) che si occupano del funzionamento del cervello e dell’intero sistema nervoso e che ha di molto ampliato il tradizionale settore della neurologia, coinvolgendo ampliamente la psichiatria, la psicoanalisi e la stessa psicologia generale

Con il termine “Neurodiritto” si intende pertanto quella disciplina che: 

  • in primo luogo intende studiare e codificare le modalità attraverso le quali il cervello forma i concetti giuridici sia nel diritto pubblico che nel diritto privato, nel diritto sostanziale come in quello processuale;
  • in secondo luogo intende verificare se, ed in che misura, tali acquisizioni comportino la necessità di mutare non solo le norme vigenti del diritto positivo, ma anche la struttura dei c.d. formanti del linguaggio giuridico.

Le domande dalle quali si dipana il concetto stesso di “Neurodiritto” possono rappresentarsi come segue: “Esiste qualcosa di più umano del cervello?” Ed ancora: “Esiste qualcosa, al di la dei bisogni primari, di più umano del diritto?”. La nota locuzione latina: “Ubi societas, ibi ius, sta proprio a significare che il diritto nasce già con la semplice spontanea aggregazione di più soggetti, senza la necessità che le regole che ne disciplinano la convivenza siano formalizzate o codificate. Ebbene, nonostante mente e diritto siano entrambi elementi qualificanti l’intrinseca umanità dell’uomo, mentre la prima genera il secondo, quest’ultimo sembra occuparsi solo marginalmente e superficialmente della prima. Ma un diritto che si occupa della mente solo in modo marginale e superficiale è per forza di cose un diritto dove l’uomo viene in sostanza relegato ad un ruolo marginale. Il diritto non permea, rimanendo alla superficie dell’uomo, mentre gli effetti da esso prodotti incidono profondamente sulla “sostanza umana”. Se il diritto intende davvero occuparsi dell’uomo, non può infatti continuare ad ignorare quello che gli altri campi del sapere, soprattutto quelli introdotti dalle nuove tecnologie e scoperte, dicono attorno alla natura umana. Diritto e neuroscienze, occupandosi dello stesso terreno d’indagine, non possono più continuare ad esercitare un magistero parallelo secondo l’antica concezione che le scienze si sarebbero dovute occupare degli esseri umani e il diritto delle persone.

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